GUIDA ALLE DELIZIE DELL’ARTE CACAISTA


“Là dove si sente la merda si sente l'essere.” Antonin Artaud

Nel palazzo della memoria del collezionista di obbrobri, di sgorbi e di squallori, un piccolo ma affettuoso camerino, una stanzetta gloriosamente infantile sarà sempre riservata ai prodotti del genio cacaista.



Non si parlerà di arte propriamente cacaista se non in presenza di un artefatto in vario modo ispirato al gesto e al sentimento deiettivo: una creazione fecalmente mimetica, un’opera, insomma, capace di muover l’animo umano alla passione non meno che all’azione escrementizia. 

Con altrettanta chiarezza si affermerà che l’archetipo cacaista non può e non deve essere confinato entro il recinto puramente fisiognomico della Pathosformel (immagini archetipiche che ritornano in contesti differenti attraverso i secoli della storia dell'arte, ndr.)

Vi è senza dubbio una somatica cacaista, una gestualità esplicitamente sfinterica o cripto-defecatoria.

E certo ogni epoca, secondo il suo Kunstwollen ("volontà d'arte" o "gusto", ndr.), ne incarna canoni, engrammi e foto-grammi: dalla grazia marmorea delle antiche veneri accovacciate,

Veneri accovacciate Arte Cacaista


alla stipsi torvamente romantica del pensatore di Rodin,

Il pensatore Rodin Arte Cacaista

dall’onta biblica dell’Adamo michelangiolesco,


alla goliardia epifanica dei caganer barocchi (caratteristiche statuine del folklore catalano raffiguranti una persona accovacciata intenta a defecare, ndr.),

Caganer Arte Cacaista


dalle gargolle gotiche all’autoritratto rannicchiato di Schiele.



Ma trascendendo la dimensione puramente fisica, la mimesis pedissequamente corporea, l’angustia riproduttiva, il genio cacaista sconfina sovente nella sfera dell’immateriale, dell’astrazione, della idealità, del concetto, finanche dello spirituale, recuperando proprio in questo modo il materiale, l’ornamentale e, obtorto culo, il monumentale. 

Si consideri non solo la provocazione doppiamente scatologica e ormai scontata del Pierino Manzoni,

Merda d'artista Piero Manzoni Arte Cacaista

ma anche la variegata Collection of Ordure di Stuart Brisley,

Collection of Ordure di Stuart Brisley Arte Cacaista

o ancora la serie Santa Chocolate Shop di Paul McCarthy,

Santa Chocolate Shop di Paul Mc Carthy Arte Cacaista

fino agli schizo-fecalia di David Nebreda,

David Nebreda Arte Cacaista


e a certe cosette più femminili, coccolose e intimiste, come i coniglietti su commissione in oro ed escrementi (altrui) di Grethell Rasúa

Grethell Rasúa Arte Cacaista


o la cacca di Suri Cruise di Daniel Edwards (una scultura in bronzo del 2006 che riproduce fedelmente una delle prime feci prodotte dalla neonata figlia di Tom Cruise e Katie Holmes, ndr.)

Suri Cruise First Poop di Daniel Edwards Arte Cacaista


In questi casi prevale forse il gusto delle piccole cose, del piccolo mondo anale, finanche una venuzza prescolare, un’emorroide confidenziale, una ragade crepuscolare.

Monumentali (80.000 Kg) e geometrizzanti sono invece i moduli stercorari di Santiago Sierra e Mike Bouche (The Zurich Load),

Santiago Sierra e Mike Bouche (The Zurich Load) Arte Cacaista

come pure le recenti, badiali, gigionesche merdone del collettivo viennese Gelatin (2018).

Gelatin Arte Cacaista

Classicamente imponente il virtuosistico fecaloma in travertino di Rapolano, Shit, presentato da McCarthy alla Biennale Internazionale di Scultura di Carrara nel 2010.

Shit, McCarthy Arte Cacaista


Nel 2008 McCarthy aveva già deposto al Paul Klee Center di Berna un enorme complesso fecale enfiabile, Complex Shit,

Complex Shit Arte Cacaista

a cui nel 2013 ha fatto seguito un nuovo, gulliveriano scatoma pneumatico, Complex Pile, destinato al parco di Hong Kong,

Complex Pile Arte Cacaista

a testimonianza della varietà, dell’internazionalità, e forse dell’universalità del linguaggio dello stronzo, che a tutti, con le parole benjaminiane di Ãœber Sprache überhaupt, comunica il suo «contenuto spirituale». Contenuto indubbiamente cacaista. 

Il cacaismo eccede in effetti lingue, culture e anche religioni. 

Una sorta di tempio meccanico è ad esempio l’ormai celebre Cloaca (2000) di Wim Delvoye,

Cloaca Arte Cacaista


un ventre meccanico modulare da biologi hammeriani (i cari, vecchi Cushing e Bates), che riproduce e mostra pubblicamente il processo digestivo e la defecazione.

Cloaca Arte Cacaista


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Ci permettiamo dalla redazione d'interrompere brevemente la narrazione per analizzare nello specifico l'opera d'arte in oggetto.

Cloaca è una installazione presentata per la prima volta nel 2000 al Museo di arte contemporanea di Anversa: è costituita da un macchinario che, riempito di cibo, dopo una sorta di "digestione" produce feci. Presenta dunque una "bocca" nella quale inserire alimenti e un retto che espelle merda, eventualmente poi venduta a cifre incredibili. 

Cloaca Arte Cacaista


Questo macchinario non fa dunque altro che simulare la digestione e produrre, alla fine, degli escrementi. Tutto è perfettamente controllato da computer, tutti i processi della digestione vengono sempre resi visibili. Durante le esibizioni Cloaca viene alimentata due volte al giorno.

Cloaca Arte Cacaista


L'installazione ha riscosso un enorme successo, tanto da indurre Wim a riproporla in altre città con forme e funzionalità differenti. Questa opera d’arte ha fatto una sua apparizione anche in Italia con la versione “Turbo”, realizzata usando delle lavatrici in serie. E' stata presentata a Prato nel 2004.

Cloaca Turno Arte Cacaista


Ripassiamo la palla all'autore dell'articolo.

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A rifletterci è difficile decidere se si tratti di:

1) versione postumana o patafisico-apocalittica dei modelli anatomici barocchi;

2) monumentale «macchina celibe», che converte il Trieb (istinto, ndr.) sfinterico-desiderante in pulsione di morte, in più civile aspirazione all’inorganico;

3) pietra, o meglio coprolito tombale, anche sul gesto ultimo, sull’atto minimo, sommamente intimo e sommessamente auratico dell’artista tradizionale, diffidente di ogni servo-sterco, fanatico dell’escremento casereccio, perché ancora nostalgico dell’unicità autorale; 

4) cristallina quanto inconsapevole parodia dell’Ursprung des Kunstwerkes heideggeriano (l'unica opera nella quale il filosofo tedesco affronta organicamente la questione dell'arte, ndr.), che sulla pesantezza del tempio e sul materiale oscuro della Terra, diciamo pure sull’identità/differenza di Erde (Terra in tedesco, ndr.) e merde si incardina;

5) metafora dell’impasto di pulsione di vita e di morte nella difficile, per molti versi anale operazione di sublimazione;

6) colossale stronzata. 

Cloaca Arte Cacaista


Ipotesi, quest’ultima, da considerare con assoluta serietà, e in combinazione con tutte le altre. 

Perché proprio in essa e in tale intreccio si annida il problema, di più: il meta-problema, il rovello ardente e pruriginoso dell’arte cacaista. 

La distinzione classica tra l’opera che rappresenta (dal defecante alla metonimia moschina del defecato) e l’opera che presenta (il ready-made lato sensu coprologico), come pure quella tra l’opera votata al visibile e quella votata all’invisibile, non rende infatti ragione della sua viscerale ambiguità. 

Nella sfera del genio cacaista – laddove il migliore e il pessimo circolarmente si toccano e si avviluppano in intestinale abbraccio, perché opera-merda, opera di merda e merda all’opera trapassano l’una nell’altra – si impone l’ulteriore tipologia dell’opera che testimonia, e testimoniando incarna. 

Non mimesi fecale, non presentazione snobistica della merda come oggetto-trovato-fatto o da-fare, non utopia dell’oltre-feci, ma cagata esemplare. Non forma di stronzata o suo rovescio, intendiam dire, ma stronzata vera. 



E tuttavia proprio per questo merda di merda, messa in scena di sé anzitutto come cagata, e cagata anzitutto come messa in scena di sé, grande opera come rinuncia alla grande opera, opera nata mortificata, e perciò già da sempre oltre il bel simulacro. 

Si badi bene: non stiamo parlando di banale autoconsapevolezza, romanticamente di infinita autoriflessione interna all’opera, ma di miracolosa confluenza di eventi che eccedono la volontà dell’autore e il contenuto materiale per coagularsi in un vero stronzo/torso goethiano, in opera nata torso, opera segreta ed escreta come ideale da sempre mancato e mancanza stessa di ideale.

Il miracolo dunque si compie nel momento in cui l'opera d'arte non solo rappresenta una cacata (banalmente: una persona che caga), non solo presenta una cacata (la merda di Manzoni), ma è essa stessa una cacata. Una stupefacente trinità.



In questo senso, al paradosso per cui l’opera di merda, per quanto massimamente diffusa, è solo una minima parte dell’universo cacaista, si intreccia quello per cui entro lo stesso materiale coprologico vanno rigorosamente e perciò casualmente distinti due tipi: il prodotto banalmente kitsch, e il capolavoro. 

Nel capolavoro rappresentazione, presentazione e testimonianza diretta si intrecciano in un momento, lo ripetiamo, di miracolosa quanto casuale intensità fecale. 

Ma di che genere sono questi capolavori, e come trovarli, si chiederà impazienti? 

Rispondiamo: occorrono acume e fortuna; sintesi apparentemente impossibile di fiuto e deretano; un naso-culo alla Bosch, si potrebbe dire; finanche un nasobema. Del resto anche in tempi sfortunati e anosmici, come quelli attuali, al raccoglitore attento di perle e fonfoni cacaisti non sfuggirà mai il sentore e la casuale traccia del capolavoro. 

Nel prossimo articolo ne forniremo un dannato, concretissimo esempio (che si trova a Roma, proprio qui a due passi dalla nostra redazione, ndr.).


Paolo Gabrielli (Gabriels)

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