Una Sadica Danza Post Punk: COPKILLER (Roberto Faenza - 1983)


Harvey Keitel: "Ti piace la musica rock?"
John Lydon: "No ... e tu sei un porco!".

Un basso pulsante, monocorde, al quale si aggiunge una batteria basica e folli schizzi sonoramente spettrali: una miscela sonora esplosiva, dissonante. Ogni nota è un graffio, ogni suono l'entrata in un mondo contorto di menti malate e violenza urbana. Quando in questo scenario da incubo irrompe la presenza carismatica e disturbante di John Lydon, volto iconico prima del punk più violento, e poi del post punk più radicale, potremmo pensare di esser stati catapultati in un video sperimentale dei Public Image Ltd, la sua storica band. E invece siamo in uno sporco e cattivo film italiano anni 80 con una colonna sonora che vanta una firma altissima e insospettabile. Ma andiamo con ordine, cominciamo dall'inizio.

Nel tumultoso panorama cinematografico italiano di fine anni '70, Roberto Faenza spiccava come una figura audace e controversa. La sua carriera era stata caratterizzata da una serie di opere ribelli, cariche di impegno politico, sfide al cinema tradizionale. Aveva iniziato con ESCALATION (1968), una grottesca allegoria sessantottina, per poi bissare con H2S (1969), fantapolitico virulento subito sequestrato. Ma era stato con FORZA ITALIA (1977) che il regista aveva raggiunto il punto di non ritorno: un documentario che metteva sotto accusa il consolidato e intoccabile potere democristiano, film uscito drammaticamente in sala in contemporanea al sequestro Moro. Era stato davvero troppo: distribuzione bloccata e film oscurato per anni. Questa ennesima deludente esperienza aveva avuto un impatto profondo su Faenza, portandolo a cercare nuove prospettive al di fuori dei confini italiani. Un autoesilio durato per anni, interrotto dalla realizzazione di COPKILLER.


Girato a New York nella estate del 1983 ("incredibilmente nevosa" ricorda Faenza), il film incontra in Italia degli ennesimi problemi distributivi, ma fortunatamente gode di un notevole successo in America (con il titolo "Corrupt"), in Inghilterra (con il titolo "Order of Death," lo stesso del romanzo da cui è tratto), e in Germania, oltre ad essere distribuito in numerosi altri paesi, spesso con denominazioni svariate e diverse.

Ambientato nella decadente New York degli anni 80, nonostante sia ufficialmente un giallo poliziesco, il film è fondamentalmente una critica affilata all'America di quegli anni, un modo per Faenza di esprimere il suo disincanto e la sua avversione per un mondo sempre più corrotto e distorto. Grazie a un film di genere, il regista riafferma finalmente la sua autorialità. 


In COPKILLER la decisione di affidare i ruoli chiave a Harvey Keitel e John Lydon si rivela un vero colpo di genio. Entrambi portano una profondità e un'energia uniche ai loro personaggi, creando un'intensa simbiosi cinematografica che trasforma il film in un'esperienza molto potente.

Harvey Keitel, noto per la sua versatilità e la sua capacità di immersione nei personaggi, offre una performance magistrale nel ruolo di un poliziotto corrotto e tormentato. Fedele al rigore “fondamentalista” dell’Actors Studio, Keitel frequenta per settimane un vero distretto di polizia, addirittura pattugliando le strade insieme ad alcuni poliziotti. "Il suo credo è che non puoi recitare un ruolo se non “sei” quel ruolo" ricorda Faenza. Il risultato è una interpretazione intensa e cruda che sarà la premessa al futuro "cattivo tenente" di Abel Ferrara: un poliziotto che affronta i suoi demoni interiori, in un complesso mix di violenza, colpa e redenzione che caratterizza fortemente il suo personaggio. 


Ma è John Lydon, precedentemente noto come Johnny Rotten dei Sex Pistols, che ruba la scena e cattura l'attenzione dello spettatore con una performance sorprendente. La sua fama all'epoca era pessima: nessuna compagnia voleva stipulare una assicurazione su di lui. Faenza pur di averlo nel suo film, accetta la rischiosa scommessa, che risulterà vincente: John si comporta da gran professionista sul set, identificandosi a sua volta col "copkiller", trasmettendo un'aura di devianza e follia che è allo stesso tempo affascinante e spaventosa. Il suo aspetto sfrontato e ribelle, complice un look davvero pazzesco, si fonde perfettamente con l'atmosfera post punk del film. "Unico neo di un così eccellente comportamento, il suo ruttare e sputare davanti a tutti quotidianamente e senza freni", ricorda il regista.


La scelta di questi due attori, così diversi ma allo stesso tempo così complementari, è uno dei punti di forza del film. La chimica tra Keitel e Lydon è palpabile, e la tensione che si sviluppa tra i loro personaggi è il cuore pulsante della storia. Entrambi raggiungono una profondità che porta l'opera ben oltre il livello di un semplice film di genere: un esempio di come due diverse icone, del cinema e della musica, possano collaborare. Se ad oggi COPKILLER è a tutti gli effetti un cult movie, molto è dovuto a loro.


COPKILLER offre un avvincente e intricato intreccio narrativo. La storia si svolge in uno squallido mondo fatto di crimini e corruzione, dove si aggira la figura spettrale del Copkiller, un assassino spietato che uccide gli agenti di polizia a sangue freddo. Una presenza inquietante che aleggia come un'ombra sulla coscienza della città: il Copkiller incarna il Male con la M maiuscola. Non sappiamo chi sia, il suo volto è nascosto dietro un passamontagna, ma il suo modus operandi è una firma inequivocabile. Ma ben presto il film smette di essere una semplice storia di omicidi e crimini: diviene una discesa nelle profondità distorte della mente umana, un gioco di inganni, tradimenti e psicologia torbida. 


Al centro della trama c'è l'ambiguo rapporto tra il poliziotto corrotto di Harvey Keitel e il giovane disturbato di John Lydon. Keitel è inizialmente indifferente alle assurde confessioni di Lydon, che afferma di essere il temuto assassino, ma ben presto ne rimane sconcertato e angosciato. Questa incertezza crea una atmosfera carica di tensione e ambiguità che sfocerà nella violenza.

L'azione avviene principalmente in un appartamento claustrofobico, che diventa il palcoscenico perfetto per il pericoloso gioco psicologico tra i due uomini. La regia di Roberto Faenza rende la storia opprimente e paranoica e trascina il pubblico nella stessa disorientante confusione mentale dei personaggi. Le scelte narrative e visive del film contribuiscono a mettere in risalto il tema della doppia identità, dell'inganno e della maschera che ciascun personaggio indossa. Ci si interroga fino alla fine su chi sia veramente il "copkiller" e su chi sia la vittima: una distorta e sorprendente danza mentale. 


Ma abbiamo detto che COPKILLER è molto più di un semplice thriller poliziesco: è un sipario alzato su un sottotesto psicosessuale che ne trasforma completamente la narrazione. La sessualità repressa, la paranoia e le dinamiche di potere diventano elementi centrali che catapultano lo spettatore in un mondo di oscure perversioni. Harvey Keitel é straordinario nel ruolo del poliziotto corrotto, tormentato e represso, e aggiunge un alto livello di complessità al suo personaggio, mettendo in luce le tensioni tra il desiderio e la moralità, tra giusto e sbagliato. Questa ambiguità morale/sessuale si intreccia in modo sinistro con l'apparente follia del suo antagonista John Lydon, il presunto "copkiller." La relazione tra i due uomini è carica di una tensione sessuale latente, che viene portata alla luce attraverso una serie di interazioni disturbanti.


Faenza mette in scena con franchezza il progressivo stabilirsi di un rapporto servo-padrone tra due forme di psicosi, una specchio dell’altra. La scena in cui Keitel infila la testa di Lydon in un forno a gas è particolarmente dura, rappresentando visivamente la sottomissione e il sadismo in gioco tra i due uomini. La disumanizzazione di Lydon, trattato come uno schiavo da Keitel (gli serve il cibo in una scodella per cani), aggiunge un elemento di perversione al film, mentre i dialoghi carichi di doppi sensi e le azioni ambigue contribuiscono a creare una tensione sessuale palpabile.
"Ora sei mio e farai ESATTAMENTE ciò che dico!" dice a un certo punto il poliziotto al giovane. La relazione tossica tra Lydon e Keitel è dunque il perno del film, una danza magnetica tra vittima e carnefice, una spirale di manipolazione psicologica che conduce inevitabilmente verso il baratro. Se inizialmente è il poliziotto a condurre le danze, ben presto le dinamiche si invertiranno, portando il film verso un finale spiazzante e ambiguo.


In COPKILLER la musica è l'altra grande protagonista del film, un elemento essenziale che trasforma l'intera esperienza cinematografica in una sadica danza post-punk. Inizialmente il compito di realizzarla viene giustamente affidato a Lydon e soci: i Public Image Ltd, band che è riuscita in pochi anni a trasformare il furore nichilista del punk in un affascinante e più razionale progetto musicale. Ma John è costretto a stare fisso in Italia, mentre il suo chitarrista Keith Levene è negli studi a New York. "I produttori ci hanno chiesto di fare la musica del film, quindi io e Keith abbiamo messo insieme la melodia via telefono. Ma poi hanno cambiato idea e non l’hanno utilizzata”. Perchè a sorpresa viene chiamato Ennio Morricone.


Il Maestro dimostra ancora una volta la sua incredibile versatilità compositiva. La sigla iniziale è un capolavoro post-punk: il basso pulsante e le sonorità folli creano un'atmosfera di tensione e mistero, perfetta per il mondo oscuro e distorto in cui si svolge la storia. Questa base musicale iniziale è solo un assaggio, un invito a immergersi nel caos e nella follia che permeano il film. Con l'evolversi della trama, Morricone aggiunge ulteriori strati sonori, incorporando strumenti classici, sax e chitarre che si intrecciano in maniera magistrale con l'azione sullo schermo. Questa fusione di elementi musicali crea un'atmosfera unica, in cui il post-punk si fonde con il mondo del cinema noir, divenendo elemento chiave nella costruzione dell'atmosfera. Suoni che riecheggiano il caos mentale dei protagonisti, amplificando il senso di claustrofobia e paranoia del film. Note taglienti come lame che riflettono la violenza urbana sullo sfondo. 

La musica diviene una forza oscura che permea l'intera narrazione, trascinando gli spettatori sempre più nelle profondità della storia. I brani composti da Morricone potrebbero stare tranquillamente tra i solchi di THIS IS WHAT YOU WANT ... THIS IS WHAT YOU GET, album dei P.I.L. di Lydon pubblicato appena dopo l'uscita del film. Se ascoltiamo attentamente il brano THE ORDER OF DEATH, messo in coda al disco, si sente chiaramente il debito verso le musiche composte da Morricone, che a sua volta aveva sicuramente dato un ascolto ai dischi di Lydon e soci. Una miracolosa e ricorsiva doppia contaminazione musicale.


COPKILLER non è un film dichiaratamente post punk, ma la presenza di John Lydon rappresenta un ponte ideale tra quella scena musicale e il cinema di quegli anni. Lydon porta sullo schermo tutta l'energia caotica e l'attitudine sovversiva che lo hanno reso una figura di culto come musicista e frontman. Nei panni del giovane psicopatico tira fuori il meglio del suo repertorio espressivo: lo sguardo spiritato, la sua imprevedibilità, quel sentimento di minaccia costante che emana. La sua performance inquieta e affascina al contempo, regalando al pubblico un'icona musicale perfettamente calata nel cinema anni 80, a suo agio davanti la macchina da presa, magnetico e imprevedibile. Molti registi, dopo aver visto il film, gli proporranno altri ruoli, persino Martin Scorsese, ma nonostante le eccellenti proposte, John le respingerà tutte.


COPKILLER è un film che ha suscitato giudizi contrastanti, ma non c'è dubbio che abbia delle affinità intriganti con un altro poliziesco controverso, l'incredibile CRUISING della coppia Friedkin / Al Pacino. Entrambi i film sono ambientati nella New York degli anni 80 e presentano performance straordinarie dei protagonisti. Ambedue le pellicole catturano l'essenza della città pre-Giuliani, carica di pericoli e ambiguità. Le riprese conferiscono ai due film una sensazione sgualcita e realistica, immergendo gli spettatori in un mondo di decadenza e devianza. 

Ma è nei dettagli più oscuri che emergono le connessioni più intriganti. Entrambi i film esplorano il tema della repressione sessuale in modo audace e provocatorio. Mentre CRUISING si concentra sulla scena underground gay di New York e sulle complesse dinamiche di identità e desiderio, COPKILLER affronta la sessualità repressa del personaggio di Harvey Keitel e il torbido rapporto con John Lydon. Entrambi i film sono pericolose esplorazione di perverse dinamiche di dominio mentale. Sono una discesa agli inferi dalla quale è impossibile uscire indenni. Lasciano un malessere destinato a rimanere anche dopo i titoli di coda, regalandoci un profondo sguardo verso la più oscura profondità dell'animo umano. Quello stesso sguardo che Lydon dirige verso noi spettatori, nell'ultimo spiazzante fotogramma. 


Se COPKILLER fosse un disco post punk?

Sicuramente sarebbe il citato THIS IS WHAT YOU WANT ... THIS IS WHAT YOU GET, dei P.I.L. Uscito nel 1984 è un'opera particolarmente sofferta. Cattura il momento in cui le due menti creative della band, John Lydon e Keith Levene, arrivano alla rottura musicale e personale, affrontandosi senza esclusione di colpi, esattamente come i due protagonisti di COPKILLER.

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