JUNK PRIMA DI TE - VIAGGIO NEI DROGA-MOVIE ITALIANI - Parte 1: gli anni 70


“Viaggia ragazza viaggia hai la musica nelle vene.”

Avete visto tutti SANPA? Bene. 
Avete analizzato tutti SANPA? Benissimo. 
Avete commentato, postato, acclamato, criticato? Ottimo. 
Adesso Stop. 
Pensavate di cavarvela cosi? Con un semplice like o un emoticon? Illusi. 

Approfittando della rinnovata sensibilità sull’argomento, grazie al successo di SANPA, vi proponiamo appunto un viaggio a puntate: un volo tragico nei meandri dei droga movie italiani. Non abbiamo pretese di esaustività, andremo a tentoni, come strafatti di roba, vivisezionando le opere che più ci hanno colpito, impressionato, trafitto. Inizieremo dagli sporchi anni 70, percorreremo i ricchi anni 80, fino ai complessi anni 90 e forse anche oltre … “oltre il confine stabilito”.


  

JUNK PRIMA DI TE - VIAGGIO NEI DROGA-MOVIE ITALIANI -  PARTE 1: GLI ANNI 70.

Italia, metà anni 70. L’eroina fa il suo ingresso nelle piazze di città metropolitane come Roma e Milano, e pian piano soppianta tutti gli altri stupefacenti. Questo nostro articolo vuole essere un viaggio intorno alle primissime testimonianze cinematografiche dell’epoca, tra sperimentazioni arditissime, inchieste-verità, e operazioni al limite tra fiction e documentario. Tutti reperti coraggiosi, emozionanti a tratti poetici, tutti assolutamente da riscoprire.


ANNA (Alberto Grifi, Massimo Sarchielli - Italia 1975)


TRAMA: 1972, Roma, Piazza Navona. L’attore Massimo Sarchielli incontra Anna, 16 anni, incinta e sbandata. I due parlano: si scopre che Anna è scappata dalla sua famiglia (emigrati in Francia) e anche da diversi riformatori gestiti da terribili suore. Anna chiede un posto dove dormire e Sarchielli decide di ospitarla. L’attore comincia a studiarla, pensa di riprenderla, ne parla con il suo amico regista Alberto Grifi e scrivono un canovaccio. Nasce ANNA: circa 11 ore di registrazioni magnetiche, realizzate con uno dei primi videoregistratori portatili, trasferite poi su pellicola 16mm attraverso un vidigrafo artigianale inventato dallo stesso Grifi, e infine ridotte a quasi quattro.

Proto docu-film sperimentale e radicale, forse il più famoso esperimento indipendente del Cinema italiano.

Ma dove finisce la sperimentazione e inizia il voyerismo?
Ma dove inizia il prurito borghese e finisce la rivoluzione?
Ma che senso hanno queste domande quando l’intento è politico e addirittura il risultato è sovversivo?

“Non sono come tu mi vuoi” CCCP


Dalle parole dello stesso Grifi: “Anna era diversa da quella che noi volevamo che fosse".

Affanculo il canovaccio. Anna non si piega alla regia e alla sceneggiatura: è problematica, forse un pò stronza, capovolge le carte in tavola. Se ne sbatte dei dibattiti e delle analisi, più o meno finti, dei quali lei è pretesto. Anna fa letteralmente irrompere la realtà sulla scena: trasmette i pidocchi a Sarchielli e a tutta la troupe, è oggetto di una tenerissima dichiarazione d’amore, in presa diretta, da parte del giovane Vincenzo Mazza, elettricista sul set. Anna vuole solo mangiare, fumare, vuole solo l’amore, ma dopo averlo trovato rimette tutto in discussione: alla fine Anna si nega, fugge, rifiuta di essere ripresa durante il parto e molla tutti, anche Vincenzo e il bambino.

“Rido per te che non sai sognare” Area

Se a casa degli autori è in atto una rivoluzione etica ed estetica, nelle strade e nelle piazze la rivoluzione si fa verbo. Gioia e Rivoluzione nelle frasi di Ivano Urban, Pilar Castel, Vincenzo Mazza, Stefano Cattarossi e tutti gli altri giovani “figli di Piazza Navona”. Sono i protagonisti del film ma anche di un’intera generazione, allo stesso tempo creativa e contestatrice. Ci regalano frasi profonde e lucidissime, apparentemente naif, in realtà pregne di significato, soprattutto se contrapposte alle sparate borghesi del blasonato avvocato interrogato sulla moralità dell’ospitare Anna, minorenne, a casa di un adulto:

L'avvocato: “in ogni cittadino esiste una lupara”

I giovani: “Se nasce un maschio lo chiama Bernini, femmina Navona”; 
“La gente sporca è quella che si lava sempre”; 
Io non lavoro perché non so lavorare e non mi viene neanche la voglia”; 
“Noi sappiamo benissimo che con l'anarchia si sta bene”.

Cosa rimane oggi di questo coraggioso documento underground? Rimane tutto: la forza intransigente del suo rischiare, la fotografia di una generazione, l’emozione del reale dentro al reality, le domande aperte alle quali gli stessi autori s’interrogano nel finale, gli echi di una rivoluzione.


STORIA DI FILOMENA E ANTONIO - Gli anni '70 e la droga a Milano (Antonello Branca - Italia 1976)


TRAMA: Milano, 1976. Filomena è una ragazza di 24 anni, minuta e dai capelli corti. Sembra intimorita all’inizio dell’intervista, man mano che la storia va avanti ci rivelerà tutta la sua forza e il suo coraggio. Seduta su un prato comincia a raccontarci di un’infanzia terribile: da un orfanotrofio all’altro fin dalla tenerissima età, a 16 anni scappa a Milano ma viene rispedita a casa dove i genitori contadini, pur di non farla passare per puttana, la promettono sposa giovanissima ad un vecchio cieco con due figli. La ragazza si ribella. L’alternativa è il matrimonio con un ragazzo emigrato in Germania. Filomena in Germania trova lavoro ma anche la stessa emarginazione che viveva nel suo paesino natale. Riscappa a Milano. Milano negli anni 70 è una città difficile: l’eroina comincia a far capolino sulle piazze della città e sostituisce tutte le sostanze precedenti. A 19 anni Filomena si fa il primo buco. Dopo varie vicissitudini, tra arresti e manicomi, entra in scena Antonio, 28 anni, operaio figlio di operai, e l’intervista prosegue a due voci. I ragazzi s’incontrano a Parco Lambro: inizia una storia d’amore, di convivenza e di tossicodipendenza. Il racconto della coppia continua con la descrizione del tran-tran quotidiano di due drogati, tra problemi economici, analisi sociali e tentativi di disintossicazione.

STORIA DI FILOMENA E ANTONIO è un film per la televisione diretto da Antonello Branca, uno dei documentaristi italiani più significativi degli Anni 60-70. È uno dei primi documentari a indagare sulla penetrazione dell’eroina nel tessuto urbano, ma anche uno dei primi a parlare delle “comuni agricole” come centri di recupero e della rimozione delle cause sociali come unica vera soluzione al problema. Ne risulta una testimonianza importante, filmata nel climax di quegli anni amari: vera, diretta e anche cruda nella sua lucidità.

“Vorrei incontrarti fuori i cancelli di una fabbrica” Alan Sorrenti


Filomena: “In paese venivo vista come una bestia rara, non avevo amiche…dicevano che ero una puttana… e ho deciso di andar via di casa”; 
“Emarginata dai tedeschi per il fatto che non parlavo la lingua, mi consideravano come considerano tutti gli italiani, una sottospecie”; 
“Tra quelli che fumavano e quelli che si bucavano preferivo questi perché mi sembravano più veri.”

Antonio: “Essere eroinomani è come andare in ufficio: la ricerca della dose giornaliera, gli orari, gli spacciatori, la divisione della roba, etc.”

Quanto sono intelligenti e acute le analisi sulla loro condizione di sopravvivenza.


Filomena e Antonio in questa livida Milano in bianco e nero ci appaiono come due figure cristologiche, dall’eloquio tanto struggente quanto culturalmente elevato. Una coppia in cerca di indipendenza che trova solo la dipendenza, da una schiavitù all’altra, sfuggiti dallo sfruttamento in fabbrica e finiti sfruttati per strada. 
Come cantava Claudio Rocchi nella sua splendida L’Orizzonte a Milano
“Intossicati dentro un gioco d'amore.”


NON CONTATE SU DI NOI (Sergio Nuti - Italia 1978)


“Forza che la vita è lunga e la rota è breve”

Trama: Partono i titoli di testa senza musiche, solo rumori di fondo cittadini. Flauto, giovane musicista romano, è in macchina, ascolta la radio che parla di pop e free jazz. La MDP si sposta su Maria, una giovane tossicodipendente: è per strada, vacilla, ha una crisi d’astinenza. Flauto soccorre Maria. Da questo incontro nasce una tormentata storia d'amore e d’eroina. Maria occupa casa di Flauto, comincia ad introdurlo nel suo giro di amici e di spade; gli amici s’intrufolano in casa del musicista, soprattutto nel suo bagno a farsi docce … a farsi in vena. Flauto sbrocca, caccia tutti a calci in culo! Ma l’amore si sa è come una scimmia … Maria torna e con lei anche la roba che affascina e induce Flauto alla sua prima volta. Casa di nuovo piena di junkie, partono chitarre e tammurriate. Ci scappa il morto.


“Io vorrei cantà per chi è nato come me su strade de borgata” Maurizio Rota

Direttamente dallo slogan di lancio: “Un film girato da giovani esordienti che invece di fare della sociologia spicciola, finalmente raccontano dei fatti”. In effetti c’è poco da scherzare, il film è serio e coraggioso considerata soprattutto la sua completa autoproduzione; la recitazione degli attori non professionisti da al film un taglio, se non proprio documentaristico, sicuramente autentico e sincero.

Ancora dallo slogan: “Messaggio in bottiglia dall’universo della droga …una testimonianza diretta dall’inferno”. Il risultato è un po' meno spettacolare delle sue promesse, ma non per quanto riguarda le idee e soprattutto gli intenti.


Per tutti questi motivi, e aggiungendo che è stato girato ben cinque anni prima del più famoso AMORE TOSSICO, NON CONTATE SU DI NOI diventa un documento storico/sociologico importante e significativo.

Se ancora non siete convinti eccovi la ciliegina sulla torta: tra gli sceneggiatori troviamo nientepopodimeno che Gianloreto Carbone: si si proprio lui lo storico giornalista di Chi l’ha visto.

In più c’è da segnalare una notevolissima e ricercata colonna sonora: Canzoniere del Lazio, Alan Sorrenti, ma soprattutto Maurizio Rota (nel ruolo di Robby nel film), che ci regala delle poesie in musica disperate e tormentate.


Il film era praticamente invisibile fino a qualche anno fa; ora, grazie alla petizione lanciata da Tutti parlano di Cinema, è disponibile in una versione DVD+Blu-Ray con numerosi extra. Non lasciatevelo scappare è un pezzo di storia.



A tutti i ragazzi di una rivoluzione soffocata in un buco nero senza ritorno.

“Solo il cielo po’ dì se ci ha visto morì” Maurizio Rota

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