Adriano Celentano
Eccoci giunti alla seconda parte di Junk prima di te: un volo tragico nei meandri dei droga movie italiani. Se siete curiosi di leggere la prima parte dedicata agli anni 70, eccola qua.
I film che questa volta andremo ad analizzare sono un Cult, uno Stra-Cult e un Sub-Cult. Due non hanno bisogno di presentazioni: L’Imperatore di Roma e Amore Tossico; il terzo, Bambulè è una vera e propria chicca generazionale da riscoprire ad ogni costo.
Curiosità: tutti i film scelti sono ambientati a Roma o nelle sue periferie. Tutti e tre i film contengono il seme della violenza.
Roma Festona: è un caso, oppure no; negli Anni 70/80 numerosi registi scelgono Roma come scenario preferito per descrivere la
generazione giovanile dell’epoca. Sarà per l’Estate Romana di Nicolini oppure per
il leggendario Festival dei Poeti di Castel Porziano, ma Roma è senza dubbio teatro
eletto di culture e controculture, movimenti, stimoli e creatività. Anni prima
gioiosi, alternativi, stimolanti; in seguito, con l’avvento dell’eroina, sempre
più violenti e alienanti. Roma da città in festa a città infestata, da crocevia
di correnti e fermenti a giungla d’asfalto, dall’amore alla disperazione.
Roma Savana: a Roma, da sempre, vige proprio la legge
della giungla. Già nel 1963 la scrittrice Cristina Campo scriveva così: ”…
nessuno ha degli amici a Roma. È una città di una crudeltà incredibile, proprio
perché è bonaria. Sono le savane che ti inghiottono…”.
Infatti, crudeli e
spietati sono i finali dei film selezionati: Cesare finisce come Franco Citti in
Accattone, Marco e Dario come la Guidi e la Carati in Avere 20 Anni, Gerry pestato
per un panino.
Permetteteci allora un pensiero poetico per l’occasione, ispirandoci al caro Remo Remotti:
Cala il buio e Gerry fugge, dal padre e da chi sa cosa: cammina, cammina e si tuffa nella notte romana. Torna il giorno e ricomincia il vagabondaggio senza meta: guarda i gatti al Colosseo, chiede soldi ai passanti "Che c'hai cento lire? Che poi te ridò”, raccatta giusto gli spicci per "una pizza con le patate … e un bicchiere di vino”.
L’Imperatore torna libero e amoreggia con un'amica alla quale confessa amaramente:
Poi ricomincia i suoi giri: ruba una moto, vaga per luoghi cadenti e diroccati, scrocca pizze e cicche trovate per terra … "La divina provvidenza!”
"Devo resistere al sonno"
È ormai notte fonda quando Gerry, dopo aver scritto alla sua donna una lettera piena di dolcezza e buoni propositi, decide di uscire di nuovo.
“Il tempo si è fermato. Il tempo è impazzito. La direzione è sempre avanti.”
Lampioni al contrario, luci espressioniste, chitarre in feedback, in queste strade oniriche e spettrali, Gerry immagina di essere da almeno 2000 anni il protettore notturno della città.
"Via gli infami, famo rifunzionare 'a vita!" - all'alba, tra le rovine antiche, proclama la rinascita di Roma.
"Ecco i primi soccorsi" - scorge i primi autobus.
"Riparate tutte 'e pietre una a una" - osserva i muratori iniziare i loro lavori.
"Dormite che c'è il vostro generale che veglia su di voi!" - s'imbatte nei barboni che dormono nei sacchi a pelo.
"Nessuno morirà più pe' 'e strade" - progetti per una nuova Urbe.
La città è ormai definitivamente sveglia, Gerry si ritrova in una zona periferica, desertica e diroccata: si spoglia e lascia gli ultimi ordini per la rinascita della sua Roma:
"Non ci saranno gli infami, le donne saranno felici, e io non cercherò la vendetta".
"NUN LO POTETE FAAA'!!!"
Gerry torna in centro stanco e affamato, sale su un autobus, ruba un panino. Colto sul fatto, viene malmenato e gettato a terra … da lontano un gatto sornione osserva la scena, addentando del cibo trovato nella spazzatura.
L'Imperatore Di Roma è la cronaca di una giornata tipo della vita di un tossicomane: Gerardo Sperandini, per tutti Gerry. In precedenza internato all'ospedale psichiatrico di Aversa, una volta affidato al regista Gerry non fa altro che rappresentare sé stesso. Mette in scena la sua vita e la macchina da presa segue il suo delirio, la sua estasi, il suo declino. Incontra amici e nemici, affrontati sempre a testa alta con sincerità e coraggio. Gustiamoci il dialogo tra Gerry e il Professore.
Sullo sfondo una Roma splendida e misteriosa, illuminata da una fotografia in bianco e nero, a tratti espressionista, a tratti accecante, abbagliante … come in un interminabile flash che non lascia scampo.
Girato in 35mm, dapprincipio senza sonoro, L'Imperatore di Roma fa parte della cosiddetta "trilogia romana" di Nico D'Alessandria, che comprende anche Regina Coeli e L'Amico Immaginario.
D'Alessandria gira un capolavoro del cinema underground italiano, diventato negli anni un vero e proprio Cult. Sorprende lo spettatore con bellissimi momenti lirici senza mai abbandonare la rappresentazione della dura quotidianità di Gerry. Cinema, poesia e realtà si fondono magistralmente in un progetto di altissima intensità emozionale composto da memorabili istantanee:
- Gerry al Colosseo perso nei suoi deliri immagina di essere un imperatore, si acconcia il giubbetto a mo’ di mantello, saluta la folla immaginaria, infine si inietta l'ennesima dose e crolla nell'arena.
- Gerry al Vaticano si toglie il giubbetto e lo lascia all'ingresso della Basilica:
" 'A Pietro, beccate sto giaccone!"
- Gerry a casa dei genitori, beve e fuma, si specchia, si compiace, sente grida di animali selvaggi e tropicali, ecco la Savanaaaaaaaaa! Ma no ...è Ummagumma dei Pink Floyd.
Menzione speciale per le musiche di Alex Lunati e i Tan Zero, (tratte dall'LP "We Can't Imagine") che forniscono una struggente cornice punk/new-wave a tutta l'operazione.
Basta una dose errata e si va via per sempre: stazione di partenza il monumento a Pasolini, destinazione il Nirvana eterno. Michela e Cesare si iniettano una spada di coca: si apre così una danza di morte in perfetto sincrono con le musiche sintetiche spacca-cervello.
È l’ultima scena del film, suo punto di massima drammaticità e insieme paradigma visivo della storia della droga in Italia. Assistiamo al lungo flashback di Cesare: i ricordi felici della “prima volta”, erba capelli lunghi e speranze; poi come una giostra che gira e gira, l’arrivo di coca e anfetamina, frenesia ed eccitazione; a seguire, in un contrasto mortifero, arriva l’eroina e la sua calata finale. Infine, Cesare finisce come Franco Citti in Accattone: omaggio drammatico e commovente.
Amore tossico è il droga movie italiano per
antonomasia. Siamo nel 1983, l’eroina ha invaso mezzo Occidente. Vie, piazze e
città sono freneticamente battute da una tribù di giovani drogati con la
scimmia sulla schiena, una scimmia costantemente affamata. Una lunga linea
tossica unisce la Germania a Roma: dallo Zoo di Berlino fino a Roma-Fiumicino,
“station to station”, ultima fermata Lido di Ostia.
La scimmia approda, dunque, alla periferia marittima della
capitale d’Italia, dove solo qualche anno prima, nel 1979 a CastelPorziano, si
teneva il Festival dei Poeti: una kermesse di “peace & love”
clamorosamente fallita. Da figli dei fiori a figli delle pere è un attimo.
Un coraggioso regista decide di battere queste strade infestate con in testa un progetto: un film di fiction ma fortemente realistico. Claudio Caligari vuole realizzare un’opera dura e credibile, ma senza i toni pietistici del documentario; cerca anzi un taglio iper-realista che lasci spazio anche al comico e al grottesco. Caligari vuole ottenere un ritratto antropologico da dipingere insieme agli stessi protagonisti nel modo più onesto possibile.
Il titolo di lavorazione è Eroina di Strada (Street Heroin) quasi fosse un brano di Lou Reed. Sarà poi mutato nel più poetico Amore Tossico: il trucido stile verista lo consacrerà a spietata istantanea di una generazione. I ragazzi ingaggiati sono dei veri tossicodipendenti, dapprima diffidenti, poi partecipi: recitano, scrivono dialoghi e scene, si fidano di Claudio.
Il risultato è un film tecnicamente d’impatto: regia, montaggio, musiche, ritmo, dialoghi e recitazione, tutto assolutamente sorprendente. I ragazzi non immaginano di stare interpretando la storia della loro generazione nella maniera più incisiva possibile: sono la “junk generation” italica degli inizi anni 80, pericolosamente su e giù come su un ottovolante, tra stupefacenti slanci ribelli e traumatici impatti con la realtà.
Gli “attori tossici” correggono giornalmente la sceneggiatura in quanto “professori della materia”: disseminano il film di slang ero-borgatari entrati ormai nell’immaginario collettivo, veri e beffardi nell’essere profeticamente incipit e titoli di coda di un’intera gioventù.
“Ndo s'annamo a spertuzzà a venazza?”
“Ma come, dovemo svorta' e te piji er gelato?!”
“Che so’ quelle? E luci d'a ribarta. Come e ribarti ribarti so’ sempre uguali”
“Sorella, madre, je vojo dì na cosa se posso… Ma perchè a me
me piace tanto er cazzo?"
“Er mare, er sole, na bella pera... Mettece du violini...”
“Questo sì che è un quadro vero. Fatto de vita, fatto de
morte. Fatto de sangue, de sangue nostro”
In questo miracoloso equilibrio tra espressionismo visivo e
neorealismo nudo e crudo niente viene risparmiato allo spettatore: “spade”
insanguinate, “buchi” in dettaglio, crisi d’astinenza e overdose. Finanche un quadro
pollockiano fatto di schizzi di sangue tossico.
Il tutto sotto una elettro-robotica-martellante-apocalittica colonna sonora composta dal Maestro Detto Mariano: il Clan incontra i Suicide.
Sebbene sul set non sia stata utilizzata la droga vera, lo
scandalo è inevitabile. Presentato al Festival di Venezia 1983, coraggiosamente
sponsorizzato da Marco Ferreri, il film solleva un polverone. Non perderà negli
anni neanche un millesimo della sua forza devastante, divenendo un incredibile
esempio reale di Stra-cult italico.
A suggello dell’opera un quadro / locandina acid-pop:
“abbraccio con siringa”.
Trama: Una esotica canzone apre i titoli di testa, sullo sfondo il mare, un’isola, le palme, le stelle, sembra un quadro di Schifano, sembra un sogno e invece ... Roma, 1979.
Marco è un giovane fattone che sogna di fuggire dalla quotidianità della sua famiglia esagitata e sboccata. Fantastica di una nuova vita in Brasile insieme ai suoi amici: Dario, un Peter Pan perennemente strafatto, e Cico, ragazzone di bottega, timidone e bambascione.
Marco scappa di casa e va a vivere da Dario. Bella l’erba…
ma costa! I due sballini hanno perennemente bisogno di raccattare "money" e si
arrangiano come possono. Dario tenta la svolta nel mondo del cinema ma s’imbatte
solo in improbabili provini. Marco trova lavoro in un Hotel da incubo gestito
da una megera imbellettata e da suo nipote imbambolato.
Nei tanti momenti liberi i tre amiconi continuano a
bighellonare nella savana romana incontrando varie tipologie di animali
metropolitani: ecco l’allucinogeno Mescalito da Avellino e la sua fedele
gallina Siddhartha.
Mescalito “minaccia” di andarli a trovare a casa. Detto
fatto: l’allegra combriccola, gallina compresa, siede comodamente sul pavimento
a filosofeggiare mangiando mescalina: “Tutti noi siamo mescalina. Se tu
mangi mescalina, mescalina ti mangerà”
Ad un certo punto la porta si spalanca e irrompono dei punk
naziskin scatenando l’ira di Dio: urla isteriche, balli scalmanati e calci in
culo al povero Cico.
Finito il bad trip la vita continua e i soldi servono…sempre. Marco continua il suo lavoro da facchino nella squallida stamberga, trasformata in un bordello per un ospite di riguardo. La megera introduce sua Eccellenza e parte un indiavolato teatrino con lingue in fuori e chiappe all’aria: delle “giovani” entraîneuse si cimentano in un balletto infernale sulle note di “Lo Stregone” di Fred Buscaglione. Roba da far impallidire il Dr. Frank-N-Furter in persona … carne fresca per l’Eccellenza!
"Un dì tra gli zulù conobbi Baldacciù
Un negro assai briccon ma celebre stregon
Gli chiesi per favor un filtro per l'amor
Mi disse
Bum bam barum bam ba
Tim tam bulabula bamba
Rum bam barumbam ba"
I ragazzi sempre più afflitti e scoglionati, si rilassano sul
letto suonando un clarinetto e guardando il soffitto. Sognano il Brasile e pensano
ad un’ipotetica lettera da spedire al Padre, al Papa e al Presidente: “Stiamo
bene, ci divertiamo, un affettuoso vaffanculo Marco e Dario, anzi tantissimi
vaffanculo da questo posto di sogno!”
Nel frattempo, la megera vuole organizzare un bel festino per i suoi “straordinariamente portati” 35 anni; ottimo se non fosse che Marco scopre un suicidio: la vecchina della numero 4, agghindata e imbellettata, le vene si è tagliata! La padrona non demorde e comincia una fantastica “festa col morto”. Si aprono le danze ad un lugubre Tabarin: trombette, fischietti, cappellini e un’immancabile orgia finale, l’incubo è servito! Quando è troppo è troppo, Marco molla tutto e se ne va.
Si ritrovano di nuovo soli, Marco e Dario, in questo zoo urbano
magico e sbandato. A fargli compagnia un’unica utopia: Taranà, isola felice. Giusto
il tempo di un miraggio e avviene l’incontro con Anna, una psyco-freak
metropolitana!
C'è chi va... c'e chi viene: Anna fugge e arriva il padre di
Marco con la temutissima cartolina rosa della chiamata alle armi…! Oh noooo, che noia la
naja … e i soldi del padre vengono spesi per comprare un pulmino Volkswagen che
la combriccola ridipinge a motivi tropicali.
Forza si parte! Non su due piedi ma "su un piede solo” …
from Roma destinazione Taranà!
Comincia una fuga eccitata e speranzosa … ma solo un
beffardo sorriso rimarrà del sogno carioca!
Tra vizi e virtù, tra il drammatico e il grottesco, tra sogno e incubo, tra il serio e il faceto, tra la commedia e la tragedia, tra un "‘nzomma" e un "scioèèèè", ecco Bambulè ovvero l’isola che non c'è! Opera primissima di Marco Modugno (figlio del celebre cantante), che la scrive, la sceneggia, la dirige e la recita.
Affresco giovanile sul disagio e l’insofferenza di fine anni 70 e le illusioni di inizio anni 80. Magicamente strampalato e dolcemente malinconico, freak, anarchico, poetico, naif a tratti geniale!
L’opera è poveristica ma brillante: viene girata in Super 8, gonfiato in seguito
a 35mm, ma può vantare intuizioni argute e un finale raggelante,
quasi una sorta di Avere vent’anni al maschile.
Segnaliamo, inoltre, delle presenze particolari: una dolcissima Nerina
Montagnani, la famosa nonnina del Caffè, e un giovanissimo Michele Soavi.
“San Francesco
era sempre in acido” “Perché?”
“Ma come perché ... parlava co’ gli uccelli: o era
fatto o era scemo”
Voi vi chiederete: cosa c’entra Bambulè con un dossier
sull’eroina se i protagonisti sono dei semplici fattoni? Erba, fumo e mescalina ... pure "bona" visto il film! Perché “Junk prima di te” non è solo eroina ma tutto
ciò che ci gira intorno.
“Dio c’è” eccome se c’è! Si fuma, si mangia e soprattutto si vede.
C'è lo spacciatore capellone e tossicone: Dario lo incontra cercando disperatamente del fumo, il tossicone si spara una pera nuda e cruda sotto i suoi occhi, tra le urla di un bebè.
C'è la locandina che non lascia spazio a libere interpretazioni: rappresenta il ragazzo spiato dal buco della serratura della camera d’albergo dove lavora Marco ... “braccio con siringa “.
Come vedete gli ingredienti ci sono tutti per riscoprire questo vero e proprio sub-cult italico, tanto dimenticato quanto da recuperare, ORA!
0 Commenti