Dalla Russia con furore ... il furore del Rock'n'Roll. Leningrado, estate di inizio anni 80. Mentre nel mondo deflagra il Post-Punk, dietro la "cortina di ferro" è difficile anche solo recuperare un vinile usato. Le poche rock band giovanili devono passare al vaglio delle commissioni di partito ed esibirsi nei teatri di Stato, sotto l'occhio inflessibile dei militari. Kirill Serebrennikov ci trascina in questa bolla temporale con una poesia visiva che è allo stesso tempo un tributo e una malinconica celebrazione di ciò che fu e di ciò che inevitabilmente si è perso.
Al centro della storia un triangolo: Mike, Natalia e Viktor. Mike è un noto cantautore, un po' vecchio stile (Beatles, Dylan) che diviene il produttore di Viktor, un giovane cantante pieno di idee e riferimenti moderni (Bowie, Iggy Pop). In mezzo Natalia musa ispiratrice di entrambi. Ma non sarà un duello amoroso: si stringerà invece una amicizia sincera che darà inizio all'avventura dei Kino, la rock band più importante della Russia anni 80 (googlare per credere).
Serebrennikov ci porta dentro al grigio panorama della Leningrado musicale di quei tempi: il Leningrad Rock Club. Un luogo in cui i musicisti dovevano suonare tra le rigide regole del regime: niente pogo, niente urla, niente frenesia rock. Eppure, grazie agli interventi esilaranti del narratore Skeptic (un irresistibile Alexander Kuznetsov) e alle idee registiche surreali, il club e tutta Leningrado si trasformano in una versione psichedelica della Russia anni 80, idealmente eccessiva e sfrenata, con musicisti e pubblico finalmente parte attiva di una possibile rivoluzione musicale.
Serebrennikov ci porta dentro al grigio panorama della Leningrado musicale di quei tempi: il Leningrad Rock Club. Un luogo in cui i musicisti dovevano suonare tra le rigide regole del regime: niente pogo, niente urla, niente frenesia rock. Eppure, grazie agli interventi esilaranti del narratore Skeptic (un irresistibile Alexander Kuznetsov) e alle idee registiche surreali, il club e tutta Leningrado si trasformano in una versione psichedelica della Russia anni 80, idealmente eccessiva e sfrenata, con musicisti e pubblico finalmente parte attiva di una possibile rivoluzione musicale.
La musica dunque, vero cuore pulsante del film. Quella dei Kino chiaramente, storia del rock in URSS. Ma anche i Talking Heads, Iggy Pop, Lou Reed e David Bowie fanno capolino nella colonna sonora, dando al grigiore sovietico uno scintillio glam e un ritmo wave.
Due scene su tutte: "Psycho Killer" dei Talking Heads che diviene colonna sonora di una rissa su un treno tra i nuovi rocker e i cittadini conservatori. Una performance visivamente assurda, un'esplosione musicale che spezza il realismo e ti catapulta in un videoclip sostenuto da cartoni animati deliranti: una specie di MTV anni '80 versione sovietica, se solo fosse davvero esistita.
"The Passenger" di Iggy Pop cantata dai grigi viaggiatori di un autobus di linea, momento commovente e insieme visivamente bellissimo.
Un film espressionista, girato in un superbo bianco e nero, contrappuntato da scene musicali esplosive, ultrapop, cartoonesche, visivamente fantastiche, spesso immaginifiche ("Questo non è mai successo"). Una versione proletaria di Velvet Goldmine, emozionante e insieme rabbiosa.
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