Da Fantozzi a Lucio Fulci: il Mondo Sonoro di FABIO FRIZZI

Fabio Frizzi è stato a lungo un segreto ben custodito del cinema italiano. Le sue colonne sonore, scrigni di magia scintillante, non accompagnavano soltanto le immagini: le anticipavano, le trasformavano, le incidevano nella memoria. Trasformavano ogni film in un’esperienza e un’inquadratura in un ricordo.

Oggi, dopo aver ottenuto finalmente la notorietà nazionale e internazionale, Frizzi è un mito trasversale: lo venerano cinefili, musicisti, fan dell’horror, cultori del prog, collezionisti di vinili, dj appassionati di synth analogici, nostalgici delle VHS, studenti di cinema, registi indie, etc. etc. Perché nelle sue musiche c'è un universo sonoro che continua a espandersi.

Ma come ha fatto Fabio Frizzi a conquistare intere generazioni di spettatori?
Seguiteci: il viaggio nel suo mondo sonoro è appena cominciato.

Bologna-Roma: la prima chitarra, la prima band, il primo Maestro, il primo film  

Fabio Frizzi nasce a Bologna nel 1951, in una famiglia dove la musica è un respiro quotidiano.
Il padre Fulvio fa il distributore cinematografico ma canta in una corale; la nonna Adele vive di opera lirica. Dentro quella casa, tra pellicole, spartiti, voci e melodie, la musica non è un hobby: è un imprinting.

La prima svolta arriva con il trasferimento a Roma.
La seconda svolta a 14 anni: la chitarra, un innamoramento totale. Sono gli anni della West Coast, dei Beatles, dei dischi consumati fino a rigarli. Bach convive con il rock, e Frizzi scopre presto che il sacro e il profano, nella musica, possono coesistere tranquillamente.

Poi il fratello Fabrizio lo porta a vedere i Genesis. Fabio esce dal concerto folgorato: il prog, con la sua teatralità e le sue architetture sonore, gli entra nel sangue e non lo lascerà più. Inizia a suonare in una band (gli Scacchi), nelle messe beat, nelle cantine e nei garage. Un apprendistato selvaggio, libero, concreto.

Nel 1968 arriva quasi per caso la sua prima colonna sonora: Ed ora... raccomanda l’anima a Dio!, spaghetti western di Demofilo Fidani, musicato insieme a Bixio e Tempera. È un film minore, certo, ma per Frizzi è un battesimo: capisce come funziona il mestiere. Intanto il padre, perplesso sulla possibilità di campare con la musica, insiste perché studi giurisprudenza. Frizzi finge di crederci, va a lezione, ma sa che il suo futuro è altrove.

La vera svolta avviene nel 1971: Frizzi assiste alla registrazione della colonna sonora di Giù la testa e incontra Ennio Morricone. Un’esperienza shock. Morricone lo ascolta, lo incoraggia, gli indica la strada. Il rapporto col Maestro sarà sempre di profonda gratitudine, anche nelle differenze di visione: Morricone amava la ricerca sperimentale; Frizzi difendeva la musica popolare, capace di parlare a tutti. «Mozart non scriveva difficile, però era un genio», gli diceva. Il Maestro sorrideva, ma non era d’accordo.

Arrivano altri lavori: Amore libero – Free Love (1974), la prima colonna sonora tutta a suo nome, tra erotismo pop e sperimentazione; Carambola, filotto… tutti in buca (1975), commedia d’azione piena di ritmo, composta ancora insieme insieme a Bixio e Tempera, un sodalizio che sta diventando fondamentale. A questo punto Morricone, vedendo il salto di qualità, gli dice una frase che vale un’investitura: «Fabio, ora sei diventato un piccolo collega e quindi non potrai più venire da me.»  

Un Maestro gli apre la porta, e il ragazzo abbraccia definitivamente il suono come suo destino.




Fantozzi: nascita di un tormentone. Frizzi, Paolo Villaggio e una poltrona

Ci sono momenti in cui una carriera esplode. Per Fabio Frizzi, quel momento ha un nome e un cognome precisi: Ugo FantozziL’aneddoto è già leggenda. Paolo Villaggio lo invita a casa sua. Prima di parlare di lavoro, gli dice: “Prego, si accomodi…”, indicando una poltrona floscia, scomodissima. La temutissima poltrona di Fracchia. Frizzi ci affonda dentro e capisce subito che quel comico geniale, spietato ha bisogno di una partitura musicale che ne rifletta l’anima caustica e inquieta.

Nasce così La Ballata di Fantozzi, tema portante del Fantozzi (1975) di Luciano Salce: film spartiacque della commedia e di tutto il cinema italiano. Una chitarra a dodici corde, un arpeggio malinconico che gli scivola dalle dita, il celebre pa-para-pà, pa-para-pà che arriva di colpo, naturale, inevitabile. Poi l’intuizione: quel coro buffo, beffardo e inconfondibile uacciu-uari-uari, suggerito da Vince Tempera. È un miracolo di semplicità e genio: una melodia popolare che contiene dentro di sé la tristezza di Fantozzi, la sua dignità schiacciata, la sua amarezza. Un tema immortale. Un inno nazionale.

Il film esplode. La musica pure. Per Frizzi è il primo vero successo, quello che lo trasforma da giovane promettente a compositore riconosciuto. Da quel giorno, il suo telefono non smetterà più di squillare. La poltrona sfondatissima di Fracchia? È stato il trono di inizio carriera. Adesso ne è certo: il suo destino è il cinema. E il cinema, finalmente, lo ha notato.




Il Power Trio: Bixio–Frizzi–Tempera (1976–1979)

Dopo l’esplosione di Fantozzi, per Fabio Frizzi si apre una stagione irripetibile: quella del trio Bixio–Frizzi–Tempera. Tre musicisti diversissimi, tre visioni che si incastrano alla perfezione: Franco Bixio porta il mestiere; Vince Tempera l’eleganza orchestrale; Fabio Frizzi l’estro melodico e la sensibilità pop.

La loro collaborazione nasce per istinto e stima reciproca, e si trasforma in una vera bottega sonora: un laboratorio dove si mescolano pop, rock, folk, orchestrazioni classiche, elettronica analogica e richiami prog. Una jam session scatenata travestita da lavoro, capace di rendere iconico tutto ciò che tocca.  La musica del trio, allo stesso tempo semplice e sofisticata, immediata e sperimentale, incarna lo spirito dell’Italia anni ’70: libera, artigianale, creativa, sorprendente. E i film che vanno a musicare diventano mitologia popolare.

Qualche pellicola simbolo del periodo?

I quattro dell’Apocalisse (1975): Western crepuscolare di Lucio Fulci, fatto di atmosfere polverose e spirituali. È qui che inizia davvero il legame tra Frizzi e Fulci, nel clima creativo del trio.

Il secondo tragico Fantozzi (1976): Luciano Salce porta alla maturazione l'universo "fantozziano”, con più satira, più amarezza, più follia. La musica del trio accompagna il film oscillando tra comicità e tragedia sottile.

Febbre da cavallo (1976): il cult di Steno necessita di un vero e proprio inno dei perdenti. Il trio gli regala un’anima musicale travolgente e irresistibile, perfetta per Mandrake e i suoi gioiosi fallimenti.

Sette note in nero (1977): Lucio Fulci abbandona la commedia e approda al thriller soprannaturale. È una svolta che richiede una musica rilevante: la stessa trama ruota attorno a un tema sonoro, e Fulci ha bisogno di una melodia riconoscibile. Il tema, costruito su sette note di pianoforte ripetute come un mantra ipnotico, crea un senso di destino inevitabile. L’elettronica analogica e la struttura circolare lo rendono un ingranaggio narrativo perfetto. Una delle colonne sonore più celebri del cinema italiano di genere.

Come succede nelle collaborazioni più intense e produttive, l'avventura finisce per naturale evoluzione. Ognuno sente il bisogno di esplorare nuove strade, di affermare la propria identità artistica. Non c’è frattura né dramma: solo il momento di volare da soli. Per Frizzi è un passaggio cruciale: smette di essere parte di un trio e diventa un autore autonomo, completo, riconoscibile. Ed è proprio in quel momento che la sua voce musicale incontrerà un alleato destinato a cambiare la storia del cinema di genere: Lucio Fulci.


Fulci–Frizzi: il sodalizio 

Il primo incontro tra Fabio Frizzi e Lucio Fulci avviene nel 1975, sul set de I Quattro dell’Apocalisse.
È lì che nasce un binomio destinato a diventare uno dei più importanti del cinema di genere italiano.
Da quel western crepuscolare fino a Un gatto nel cervello (1990), i due lavoreranno insieme per quindici anni quasi ininterrotti, attraversando una delle stagioni più feconde e creative delle loro carriere.

Fulci era un “terrorista dei generi”, capace di passare dal western al giallo, dalla commediaccia al poliziottesco. Nel 1979 il regista decide il suo personale approdo al cinema horror: moderno, radicale, sanguinosissimo. Fulci stava aspettando il compositore giusto per il suo cinema horror estremo e visionario: un musicista capace di sorreggere l’incubo con la melodia. 


Frizzi diventa la voce sonora di quei mondi tenebrosi: la melodia dentro l’incubo, l’emozione dentro la ferocia delle immagini. Per ambedue l’horror non è una scelta improvvisa, ma una naturale evoluzione: un territorio perfetto per sperimentare nuove soluzioni visive e sonore. 

Frizzi afferma senza esitazioni: «Ho imparato tanto da Lucio e probabilmente ho scritto per i suoi film alcune delle mie cose più belle.» Ha perfettamente ragione: dalla loro collaborazione nascono alcune delle partiture più amate dell’horror mondiale.

Zombi 2 (1979): Ritmi tribali, percussioni ipnotiche, atmosfere sintetiche. Una colonna sonora che definisce il tono del film e diventa un classico internazionale.

Paura nella città dei morti viventi (1980): Un equilibrio tra tensione, malinconia e sospensione. La musica che accompagna e amplifica l’angoscia crescente del racconto.

L’Aldilà (1981): Una delle colonne sonore più amate della carriera di Frizzi, caratterizzata da un forte impianto melodico e da atmosfere sospese e inquietanti.


E poi altre due colonne sonore meno celebrate ma ugualmente riuscite:

Manhattan Baby (1982): Una partitura costruita su suggestioni oscure e note rarefatte. Perfette per il tono misterioso e straniante del film.

Un gatto nel cervello (1990): L’ultima tappa del loro cammino insieme. Un addio musicale che raccoglie ed echeggia quindici anni di lavoro comune.

Ma cosa ha reso la loro collaborazione così creativa e riuscita?
Noi una risposta ce la abbiamo: la loro complementarità assoluta.

Fulci aveva un immaginario radicale, visionario, senza compromessi; Frizzi aveva la capacità di trasformare quelle immagini in emozione pura, con melodie chiare, riconoscibili, profondamente umane. Fulci spingeva verso l’estremo, Frizzi riportava tutto al cuore. Il regista inventava incubi, il compositore gli dava un’anima, trasformando scene brutali in momenti lirici. È da questa tensione che è nata la magia del loro sodalizio: un dialogo irripetibile tra immagini estreme e melodie indimenticabili.


Oltre Fulci: commedie, TV, fiction, teatro, canzoni.

La carriera di Fabio Frizzi è multiforme, popolare, trasversale, un viaggio enciclopedico dentro mezzo secolo di cultura pop italiana. Accanto ai film con Fulci, Frizzi costruisce un universo parallelo fatto da colonne sonore cult, sigle televisive storiche, musiche per il teatro, incursioni nella musica leggera. Ci piace ricordarne alcune.

Al Cinema:
il nome di Frizzi si associa a decine di film, spesso popolari, immediati, pieni di ritmo. L'autore trova sempre la nota giusta, tra mestiere e leggerezza. In particolare segnaliamo:

Vieni Avanti Cretino (1982, Luciano Salce): cantata da Lino Banfi è un gioiello pop irresistibile, colorato, travolgente.

Delitto al Blue Gay (1984, Bruno Corbucci): il tema cantato da Vinicio Diamanti è un perfetto riflesso della commedia scatenata e "diversa" di Corbucci.


In Televisione:
Frizzi è una delle voci segrete della Tv italiana. Sigle, stacchi, musiche di scena per molti dei programmi più iconici. 

La più celebre? I Fatti Vostri – “Bla Bla Bla” (1990): la sigla che da oltre trent’anni accompagna il mezzogiorno italiano. E poi ancora: I Cervelloni, Carramba!, collaborazioni con Bonolis, Baudo, Venier, Costanzo. Una presenza costante e riconoscibilissima.

Tra gli anni 80 e i 2000, Frizzi firma le musiche per diverse fiction di successo: Classe di ferro, Professione Fantasma, Non lasciamoci più, Un ciclone in famiglia, Butta la luna. Un lavoro spesso invisibile ma decisivo: Frizzi definisce atmosfere, toni emotivi, identità musicali di un’intera stagione della fiction italiana.

A Teatro:
Frizzi ha lavorato in diversi progetti. Ci piace ricordare “La Strana Coppia” di Neil Simon, con Massimo Lopez e Tullio Solenghi: Frizzi cura tutte le musiche di scena di uno spettacolo di grande successo, che ha girato l’Italia per due lunghe stagioni.

Vi regaliamo infine una chicca assoluta: nel 1979 Frizzi arrangia e produce l’unico disco de La Smorfia, lo storico trio comico composto da Massimo Troisi, Lello Arena, Enzo Decaro. In particolare i due brani Nun te preoccupa’ e Rondò Pummarola Blues. Un pezzo di storia della comicità italiana dentro una rarità discografica ambita dai collezionisti.



Kill Bill e la notorietà internazionale

Nel 2003 accade qualcosa di imprevedibile e magnifico: Quentin Tarantino, il cineasta-feticista per eccellenza, rovista negli archivi del cinema di genere italiano e tira fuori una gemma dimenticata. In Kill Bill: Volume 1 sceglie di utilizzare il tema di Sette note in nero, composto da Bixio–Frizzi–Tempera, trasformandolo in una sequenza di culto istantanea: la Sposa, in coma da anni, ha un improvviso lampo di risveglio e si rivolta contro uno dei suoi aguzzini. 

Le "sette note" entrano come un mantra, una previsione di vendetta, una chiamata alla rinascita violenta. Il pezzo dura appena un minuto e mezzo, ma l’aspetto più sorprendente è un altro: Tarantino costruisce il montaggio sulla musica, non la musica sul montaggio. Rallenta e calibra gli stacchi, dilata il tempo, sincronizza la tensione visiva con il ritmo ossessivo del tema. La scena non accompagna la musica: le obbedisce. Un atto di amore assoluto verso quella melodia italiana degli anni ’70.

Frizzi lo racconta con una punta di stupore e gratitudine: per lui è stato un riconoscimento enorme da parte di uno dei cineasti più influenti del pianeta. Quella sequenza diventa un detonatore globale. Fabio Frizzi rientra con forza nella scena internazionale. E, insieme a lui, un pezzo di storia sonora italiana che sembrava destinato all’oblio. Di colpo, il mondo ricomincia a cercare la musica del nostro cinema di genere: collezionisti, DJ, fan dell’horror, etichette discografiche, appassionati di colonne sonore. Le OST italiane degli anni ’70 e ’80 tornano oggetti di culto: ristampe, bootleg, vinili, riedizioni limitate. Quelle musiche non sono più solo un ricordo: diventano eredità pop.


F2F: La ricomposizione di un binomio

Già dai primi anni dei social, Fabio Frizzi si accorge di un fatto sorprendente: Lucio Fulci ha un grande seguito mondiale. Non solo in Italia, ma ovunque. In Nord Europa, Stati Uniti, Sudamerica, Asia, si continuano ad amare quei film e la musica che li attraversa. Fulci non c’è più, ma il suo universo vibra ancora. E Frizzi sente che quell’eredità, merita un nuovo capitolo. Non un semplice ricordo, ma una rinascita.

Nasce così l’idea: trasformare quelle colonne sonore in uno spettacolo dal vivo. Un concerto rock-orchestrale che non sia semplice nostalgia, ma celebrazione: una esperienza sensoriale immersiva. Un tributo al regista, ma anche un incontro con il pubblico che per anni ha venerato quei temi, magari tramite una VHS danneggiata, o in una sperduta sala di periferia.

La sera di Halloween del 2013, alla Union Chapel di Londra, il progetto prende vita. Sul manifesto c’è scritto: “Frizzi 2 Fulci”. Con il tempo si accorcia in un semplice e diretto F2F.

Da quel momento comincia un’avventura internazionale che dura ancora oggi. Dovunque arrivi F2F, succede la stessa cosa: sold out immediato. Londra, Helsinki, Austin, San Diego, Los Angeles, San Francisco,  Portland, Seattle, Chicago, New York, Dallas, Toronto, Philadelphia, Francia, Libano, Spagna, Brasile, in tutto il mondo. Ogni volta, la stessa alchimia: un entusiasmo che contagia, travolge, unisce.

In platea c’è un’umanità meravigliosamente trasversale: metallari, prog, cinefili dell’horror, collezionisti di colonne sonore, studenti di cinema, nostalgici degli anni ’80, cinquantenni cresciuti a pane e Fulci, trentenni che hanno scoperto Frizzi grazie a Kill Bill, ventenni che ascoltano The Beyond su Spotify. Tutti insieme, tutti lì per la stessa ragione: ascoltare dal vivo una musica che è diventata mitologia.

Perchè F2F non è solo un tributo. È un rituale collettivo. Una ricomposizione emotiva del binomio Fulci–Frizzi. Un modo per portare l’immaginario fulciano nel presente, davanti a un pubblico che continua a crescere, cambiare, contaminarsi. Frizzi porta Fulci nel XXI secolo a volume altissimo, a cuore spalancato.



Le nuove collaborazioni internazionali

Dopo il successo dei tour F2F, la carriera di Fabio Frizzi entra in una fase nuova: una stagione internazionale, in cui la sua musica dialoga con produzioni straniere, etichette di culto e il nuovo orizzonte dell’horror contemporaneo.

Il cinema horror americano lo cerca e lo coinvolge in diverse produzioni indipendenti: Puppet Master: The Littlest Reich, il remake di Castle FreakNightmare Symphony (2020). Sono film artigianali, fieri, che trovano in lui il ponte tra l’horror fisico degli anni ’70 e il presente.

Parallelamente, Frizzi trova una nuova casa artistica nella prestigiosa Cadabra Records, etichetta USA specializzata in vinili, spoken word e letteratura fantastica. Per loro realizza progetti ispirati a: Lovecraft, Poe, The Beyond, Zombi 2, Les Yeux du Chat. Opere raffinate, da collezionisti, dove la sua musica si intreccia con testi oscuri e arti visive, esplorando atmosfere più intime e sospese.

Questa nuova stagione dimostra una cosa evidente: la musica di Fabio Frizzi non appartiene al passato, appartiene al mondoE continua a trovare nuove forme, nuovi ascoltatori, nuove storie da attraversare.


Backstage di un compospositore (2020): l’autobiografia

Nel 2020, nel silenzio del lockdown, Fabio Frizzi apre un cassetto della memoria e scrive “Backstage di un compositore”, un’autobiografia nata lontano da set e tournée ma vicina all’essenziale: i ricordi.
Non è un memoir tecnico, ma un racconto di vita: incontri, intuizioni, errori, affetti, film e musiche che hanno formato il suo stile. Frizzi ripercorre la sua storia con lucidità e tenerezza, senza autocelebrazione, mostrando come ogni esperienza abbia contribuito alla sua voce musicale.

Il libro contiene anche una delle sue dediche più intime: quella al fratello Fabrizio, figura amatissima e presenza costante nella sua vita. “Backstage di un compositore” diventa così più di un’autobiografia: un viaggio emozionale dentro una carriera che ha attraversato generi, epoche e pubblici diversi, raccontata da chi quella musica l’ha scritta, nota dopo nota.




La filosofia musicale di Fabio Frizzi

Per capire Fabio Frizzi bisogna guardare oltre i film, oltre i generi, oltre le collaborazioni. Bisogna invece ascoltare la sua idea di musica: una filosofia semplice e profondissima. Frizzi si definisce un esploratore emotivo: per lui la musica non è tecnica o virtuosismo, ma sentimento che prende forma. Ogni partitura nasce dal film, dai personaggi, dal loro clima interiore: non impone un’idea, la lascia emergere.

La sua formazione è stata un mosaico di influenze da Bach a Morricone, assimilate come un’eredità affettiva. Due strumenti hanno guidato il suo linguaggio: la chitarra, scintilla originaria, e il pianoforte, architettura emotiva delle sue melodie. La tecnologia è un aiuto, mai il cuore del processo: l’idea nasce nelle dita, non nei software.

Quando gli chiedono quale colonna sonora ami di più, Frizzi risponde: «Sono come i figli: tutte diverse, ma tutte amate.»

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